Moria delle api, l’effetto dei pesticidi

Il fenomeno è noto come sindrome da spopolamento delle api. Più semplicemente: le api scompaiono, ce ne sono sempre di meno. Misteriosa ancora la causa (o le cause) della drastica diminuzione di questi insetti preziosi per l’impollinazione di piante da fiore, ma anche di molte coltivazioni e di piante da frutto come mandorli, meli, mirtilli. A gettare un po’ di luce sulla vicenda sono ora a due studi, pubblicati su Science, che esaminano l’effetto dei pesticidi su questi animali. 

Nel novero dei responsabili, infatti, insieme ai cambiamenti climatici, alle colture ogm, all’inquinamento elettromagnetico e ad agenti patogeni naturali, c’erano anche gli insetticidi usati per proteggere le coltivazioni da ospiti indesiderati. Di quale colpa imputare i pesticidi  –  in particolare i neonicotinoidi, una classe introdotta sul mercato tra gli anni ’80 e ’90 e oggi diffusa in tutto il mondo, che agisce sul sistema nervoso degli insetti – ancora non si era certi. 

Per stabilirlo e per comprendere l’effetto di queste sostanze su api e bombi (anch’essi colpiti da una drammatica riduzione di numero negli ultimi anni, soprattutto nel Nord America), è un gruppo di studio guidato da Penelope Whitehorn dell’ Università di Stirling, (Regno Unito). I ricercatori hano esposto alcune colonie di Bombus terrestris a una dose di imidacloprid comparabile a quella normalmente usata dagli agricoltori.  Successivamente, hanno portato queste colonie ed altre non esposte all’insetticida in un campo chiuso, dove gli insetti potessero volare liberamente alla ricerca di polline per sei settimane. 

All’inizio e alla fine dell’esperimento i ricercatori hanno pesato ognuno degli alveari dei bombi (nella misurazione è incluso il peso degli insetti, della cera, del miele e del polline) per determinare la crescita della colonia. Queste analisi hanno mostrato che, rispetto alle colonie di controllo, quelle trattate sono ingrassate poco – tra l’8 e il 12 per cento in meno – il che suggerisce che una quantità inferiore di cibo è arrivata a destinazione. Le colonie trattate, inoltre, hanno prodotto circa l’85 per cento in meno di nuove api regine. Questo ultimo dato, secondo gli studiosi, è particolarmente importante perché la nascita delle api regine si traduce automaticamente nello stabilirsi di nuovi alveari l’anno seguente. Questa riduzione di regine può voler dire fino all’85 per cento in meno di nuovi nidi. 

La spiegazione sembra arrivare dalla Francia, dall’Istituto nazionale per la ricerca agricola (Inra) di Avignone. Qui un équipe di ricercatori guidati da Mickaël Henry hanno taggato alcune api per seguirne gli spostamenti, equipaggiandole con piccoli microchip Rfid sul dorso. In questo modo potevano tracciarne i percorsi da e verso l’alveare. Poi gli studiosi hanno dato a ciascuna ape una piccola dose di un neonicotinoide, il thiamethoxan in questo caso. 

Rispetto agli insetti di controllo, non esposti al pesticida, le api trattate avevano una probabilità due o tre volte maggiore di morire lontane dall’alveare (senza, quindi, portare a casa nutrimento). E questa morte probabilmente avveniva perché i pesticidi interferiscono con il loro sistema di orientamento. I ricercatori hanno poi usato i dati ottenuti dal tagging per sviluppare un modello matematico in grado di simulare le dinamiche di popolazione delle api. Inserendo la mortalità delle api, il modello ha predetto che le popolazioni esposte a questi pesticidi sono destinate a diminuire fino a un punto considerato di non ritorno

via wired.it 

Credit immagine: AAAS/Science

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