A ogni musica il suo scopo, ovunque nel mondo

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(Foto via Pixabay)

Ogni cultura ha i propri canti, ciascuno con una propria funzione sociale. Alcune canzoni servono per rassicurare i bambini, altre per accompagnare la danza, altre ancora sono delle dichiarazioni d’amore. Sebbene la musica sia espressione della cultura di un popolo, un team di ricercatori dell’Università di Harvard ha dimostrato che indipendentemente dalla loro origine le canzoni che condividono una certa funzione sociale hanno dei tratti che le accomunano. Un legame universale tra forma e funzione che consente agli esseri umani, di qualsiasi cultura siano, di intuire lo scopo di una canzone.

Per gli autori della ricerca, pubblicata sulla rivista Current Biology, Samuel Mehr e Manvir Singh, alla base di strutture musicali che trascendono le differenze culturali ci sarebbe la natura umana stessa: la nostra psicologia che ha prodotto e produce modelli musicali fondamentali condivisi. “Questo – commenta Singh – suggerirebbe che le nostre risposte emotive e comportamentali agli stimoli estetici siano molto simili anche tra popolazioni decisamente differenti”.

I ricercatori hanno organizzato diversi esperimenti per mettere alla prova la loro tesi. Nel primo sono stati coinvolti 750 individui di 60 paesi diversi ai quali è stato chiesto di ascoltare 14 secondi di alcuni brani, selezionati da 86 culture (anche molto piccole, come comunità di pastori o cacciatori-raccoglitori) di tutto il mondo. Dopo l’ascolto, gli scienziati hanno valutato l’impressione dei partecipanti sulla funzione sociale delle canzoni chiedendo loro se credessero che fossero usate per ballare, per rassicurare i bambini, per guarire da una malattia, per dichiarare il proprio amore verso un’altra persona, per piangere un morto o per raccontare una storia. L’elaborazione dei dati delle interviste ha messo in evidenza come le inferenze delle persone – che non conoscevano la cultura di riferimento delle canzoni e ne avevano potuto ascoltare solo pochi secondi – fossero tendenzialmente affidabili.

In un secondo esperimento, i ricercatori hanno invece chiesto a 1000 individui provenienti da Stati Uniti e India di valutare alcune caratteristiche oggettive (come il numero di cantanti, il loro genere e il numero di strumenti) e soggettive (per esempio complessità melodica, complessità ritmica, senso di eccitazione, piacevolezza, etc) dei brani ascoltati. Lo scopo era capire se ci fosse una corrispondenza tra certi tratti e la funzione del canto. In questo caso, però, i dati raccolti non hanno portato a nessuna conclusione definitiva e non sono stati sufficienti a spiegare in che modo le persone fossero state in grado di identificare la funzione della canzone.

Le osservazioni più interessanti, sostengono gli autori della ricerca, sono quelle in merito alle ninne nanne e ai canti che accompagnano le danze. I partecipanti agli esperimenti sono stati più bravi a identificare i brani utilizzati per queste due specifiche funzioni. Canzoni che hanno caratteristiche diametralmente opposte: le ninne nanne sono lente, con ritmo e melodia semplici e sono percepite come “meno eccitanti”; di contro le ballate sono percepite come “più eccitanti” e “gioiose”, complesse dal punto di vista sia della melodia che del ritmo.

Le indagini di Mehr e Singh non sono finite. Per il futuro stanno già organizzando esperimenti simili ma che coinvolgano persone che vivono in comunità isolate e che non hanno mai ascoltato musica proveniente da altre culture al di fuori della loro. Anche l’analisi delle caratteristiche delle canzoni continuerà per cercare di individuare – se c’è – una corrispondenza universale tra forma e funzione.

Fonte: Current Biology

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