Coronavirus, come tenere traccia delle varianti emergenti

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Tenere sotto controllo le varianti del coronavirus è una delle strategie chiave per gestire la pandemia: adesso uno studio a cura di un team di ricercatori italiani ha messo a punto un metodo in grado di rilevare quelle emergenti, che potrebbero trasformarsi nelle cosiddette variants of concern, ovvero quelle, come omicron e delta, che destano preoccupazione a causa della maggiore trasmissibilità rispetto al virus originale. 

I ricercatori, infatti, analizzando le sequenze di Sars-cov-2 raccolte in Italia e depositate in database pubblici, sono stati in grado di identificare la comparsa e l’evoluzione delle varianti virali che effettivamente sono emerse alla fine del 2020 e nel 2021. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista International journal of molecular sciences.

Tenere traccia delle varianti

Monitorare i nuovi ceppi derivanti da Sars-cov-2 è una priorità per la salute pubblica. Lo abbiamo appurato alla fine del 2020, quando la variante alfa causò un’impennata dei contagi nel Regno Unito; durante il 2021, con il predominio di delta prima e di omicron poi; lo stiamo vedendo nelle ultime settimane, con l’emergere delle sottovarianti di omicron e delle varianti ricombinanti di omicron e delta (Xd, Xe, Xf, e Xg). Considerando che più un virus circola tra le persone maggiore è il rischio che compaiano varianti, identificare rapidamente i ceppi virali in espansione e trovare le mutazioni che sono in grado di rendere il coronavirus più contagioso è cruciale per gestire la pandemia di Covid-19 al meglio.

È per questo che il team di ricercatori del centro Ceinge biotecnologie avanzate, dell’Università degli studi di Napoli Federico II e dell’Università di Roma La Sapienza, coordinati da Massimo Zollo, hanno raccolto le sequenze virali depositate dai centri di sequenziamento italiani in database pubblici a partire dal 2020, per costruire un albero filogenetico (un grafico che, come una sorta di albero genealogico, mostra i gradi di parentela tra specie diverse) contenente tutti diversi lignaggi di Sars-cov-2 campionati finora, indicando i gruppi virali in espansione che avrebbero potuto svilupparsi come varianti oggetto di preoccupazione. 


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Lo studio

“L’obiettivo di questa ricerca era trovare un metodo per identificare varianti o ‘clades’– termine usato in biologia per indicare un gruppo costituito da un comune antenato e tutti i suoi discendenti, ndr – emergenti”, ha affermato Zollo all’Ansa. “In questo modo diventa possibile anticipare quali virus potranno diventare varianti di preoccupazione”, ha aggiunto il ricercatore. 

La realtà, infatti, ha confermato le analisi informatiche: i dati derivanti dalle sequenze hanno evidenziato la comparsa e l’evoluzione di tutti i principali gruppi virali emergenti alla fine del primo anno di pandemia e delle varianti del coronavirus che si sono diffuse durante il 2021. I ricercatori hanno usato anche tecniche di modellazione molecolare (metodiche computazionali in cui, sulla base di specifiche sequenze del Dna o dell’Rna, vengono previste le strutture tridimensionali delle proteine per cui esse codificano) per dimostrare che le mutazioni individuate in questi gruppi avevano il potenziale per influenzare la funzione delle proteine di Sars-cov-2, ​​alterandone la stabilità o la struttura. 

Inoltre, collegando i dati sulle varianti all’evoluzione clinica dell’epidemia, è stato possibile trarre qualche conclusione in più sugli effetti delle misure adottate contro Covid-19 sulla circolazione delle varianti. I dati, infatti, supportano l’idea che le vaccinazioni, insieme alle restrizioni, ai dispositivi di protezione come le mascherine e al distanziamento interpersonale, possono essere molto efficaci nel ridurre la propagazione del virus e l’emergere di nuove varianti. Il futuro di Sars-cov-2

Nel complesso, concludono i ricercatori nello studio, il sistema di tracciamento così sviluppato sembra efficace nel seguire l’emergere, la diffusione e la scomparsa di nuove varianti e può facilitare l’identificazione precoce di nuovi ceppi virali. Come per esempio quelli che derivano da omicron.

“Ora gruppi di virus simili si stanno distinguendo all’interno della variante omicron”, aggiunge infatti Zollo, ma “non sappiamo che cosa questo potrà comportare dal punto di vista clinico”. In effetti, come avevamo raccontato qui, per sapere di più sugli effetti clinici ed epidemiologici di queste nuove varianti serve del tempo. Omicron, infatti, continua il ricercatore, “sta dando problemi dal punto di vista dei ricoveri, ma ad oggi non possiamo formulare alcuna ipotesi”.

“È possibile che la vaccinazione non sarà sufficiente: stiamo osservando infezioni di vaccinati e mutazioni del virus in zone che il vaccino doveva proteggere. Adesso è importante avere uno strumento per osservare quanto sta accadendo“. 

Via: Wired.it

Credits immagine: Viktor Forgacs on Unsplash