Il riscaldamento globale cambierà la faccia del Mediterraneo

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(Credits: barnimages.com/Flickr CC)
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(Credits: barnimages.com/Flickr CC)

Un segnale di allarme arriva da uno studio pubblicato su Science: il riscaldamento globale al di sopra degli 1,5°C, il limite ideale contenuto nell’accordo di Parigi sul clima, potrebbe cambiare radicalmente la regione del Mediterraneo, generando ecosistemi mai visti dalle nostre parti negli ultimi 10mila anni.

Insomma con l’aumento delle temperature oltre i limiti previsti, alcune regioni più fragili, come quella del Mediterraneo, subiranno maggiormente gli effetti del riscaldamento. E il pericolo da noi non è poi tanto remoto, visto che già oggi le temperature del bacino Mediterraneo sono mediamente di 1,3°C più alte di quanto lo fossero tra il 1880 e il 1920 (periodo pre-industriale), rispetto a un incremento della temperatura media mondiale che nello stesso intervallo di tempo non ha superato gli 0,85°C.

Gli ecosistemi del Mediterraneo hanno un valore inestimabile sia dal punto di vista della biodiversità a livello globale sia per quanto riguarda le necessità dell’uomo: forniscono acqua pulita, proteggono dalle inondazioni, ed eseguono uno stoccaggio naturale del carbonio attraverso il quale viene assorbita buona parte delle emissioni di CO2 carbonica derivate dalle attività antropiche. Secondo gli autori della ricerca appena pubblicata, queste funzioni di salvaguardia naturale sarebbero in serio pericolo se la temperatura globale aumentasse oltre la soglia stabilita.

Per valutare con precisione i possibili effetti del superamento della soglie di temperatura previste dall’accordo di Parigi, gli scienziati Joel Guiot e Wolfgang Cramer hanno usato le cosiddette carote di polline, campioni di sedimenti grazie ai quali è stato possibile studiare i cambiamenti climatici ed ecosistemici dell’area mediterranea negli ultimi 10mila anni. Le carote di polline sono campioni prelevati da un mezzo contenente una stratificazione di polline, dove gli strati inferiori sono più antichi di quelli superiori perché ogni nuovo strato ricopre il precedente. L’analisi del tipo e della frequenza del polline in ogni strato viene usata per studiare i cambiamenti nel clima e nella vegetazione in diversi periodi storici.

Con i dati ottenuti dal carotaggio, i ricercatori hanno riprodotto attraverso delle simulazioni i possibili scenari del futuro relativamente ai diversi possibili incrementi della temperatura. Le simulazioni sono state di due tipi: un gruppo ha previsto cosa succederebbe se venissero superati i limiti imposti da Parigi, mentre l’altro gruppo ha ipotizzato gli effetti derivati dal rispetto dell’accordo sul clima. Nella prima ipotesi, il sud della Spagna diventerebbe desertico, le foreste decidue invaderebbero buona parte delle montagne e la macchia sostituirebbe la maggior parte delle foreste decidue del bacino Mediterraneo. Invece nell’eventualità in cui il riscaldamento globale fosse davvero contenuto entro gli 1,5°C superiori al periodo pre-industriale, i cambiamenti nell’ecosistema rimarrebbero entro i limiti già osservati negli ultimi 10mila anni.

L’analisi ha tenuto conto solo degli effetti del riscaldamento globale, tralasciando altri tipi di impatto che potrebbe avere l’uomo sugli ecosistemi: il consumo di suolo e l’urbanizzazione sono per esempio alcune fra le altre attività che cresceranno nel prossimo futuro a causa dell’incremento demografico e della crescita economica.

La speranza dunque è che gli accordi di Parigi abbiano l’effetto voluto. Ma purtroppo, c’è chi solleva seri dubbi sull’efficacia della road map. È il caso, per esempio, di Steffen Kallbekken, direttore del Centre for International Climate and Energy Policy, che in occasione dell’accordo aveva dichiarato come, secondo lui, gli obbiettivi del testo attuale non sarebbero sufficienti, e metterebbero il mondo in una traiettoria di aumento della temperatura tra i 2,7°C e i 3,7°C. In questo senso un segnale positivo è arrivato dalla Germania, che ha votato all’inizio di ottobre una risoluzione per bandire i motori a combustione interna entro il 2030.

Via: Wired.it

3 Commenti

  1. dubito che modificare le attivita’ umane possa frenare i cambiamenti climatici, se vi e’ in corso un ciclo naturale di riscaldamento, (e’ gia’ successo molte volte in 5 miliardi di anni di Gaia ). I trattati possono rallentare la corsa di un secondo all’anno. Il mediterraneo e’ cambiato spesso, basta andare a Napoli o a Pisa e si vede. Molti fattori concorrono a tali cambiamenti per lo piu’ naturali.

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