Perché in Italia ci sono sempre meno castagne

Chiunque in ottobre ami andare per boschi lo sa: ci sono sempre meno castagne. La colpa è della cosiddetta vespa cinese, il cinipide galligeno del castagno, nome scientifico Dryocosmus kuriphilus Yasumatsu. E’ un parassita originario del Nord della Cina che purtroppo si è ormai diffuso anche nei castagneti italiani. E in appena vent’anni ha già causato una riduzione della produzione di castagne del 20 per cento, e fino all’80 per cento nel periodo di massima diffusione. In che modo la vespa cinese sia arrivata in Italia non è chiaro. Probabilmente, dice ora un Rapporto dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – Ispra (“Controllo del cinipide Dryocosmus kuriphilus (vespa cinese) in Castanea sativa”), in un primo momento la sua diffusione è avvenuta attraverso materiale vivaistico infetto e, successivamente, mediante il volo attivo delle femmine e il trasporto accidentale delle stesse ad opera dell’uomo.

La sua azione provoca una forte riduzione dell’attività vegetativa degli alberi colpiti, con un aumento di mortalità delle giovani piante, dei disseccamenti delle chiome nelle piante adulte e conseguente maggiore suscettibilità ad altre patologie. La riduzione del raccolto, però, non è solod a imputare al parassita che viene dall’oriente: tra le principali ragioni delle flessioni produttive dei castagneti, degli ultimi decenni, infatti, ci sono anche le ripetute e forti anormalità climatiche e in generale la condizione di emergenza dell’ecosistema castagno, dovuto anche a non corrette ed approssimative pratiche colturali.

Il problema non riguarda solo i raccoglitori della domenica. In Italia i castagneti da frutto rivestono storicamente una considerevole importanza, sia a livello socio-economico sia ambientale, ricorda l’Istituto. Il nostro Paese ha da sempre avuto un ruolo leader nel mercato internazionale della castagna e dei prodotti derivati, con le numerose varietà DOP e IGP presenti nelle diverse regioni.

I nostri castagneti rivestono anche un importante ruolo per la tutela della biodiversità. I boschi di castagno in Italia rappresentano circa il 7,5% del totale della superficie forestale nazionale (che copre ormai, con circa 11 milioni di ettari, un terzo del territorio nazionale). I castagneti sono un importante patrimonio forestale, in gran parte impiantato dall’uomo, la cui presenza si concentra soprattutto in Piemonte, Toscana, Liguria (che insieme rappresentano il 50% del patrimonio nazionale dei castagneti), oltre che in Lombardia, Calabria, Campania, Emilia Romagna e Lazio. I castagneti si concentrano soprattutto in aree di alta-collina e media montagna, in una fascia altitudinale compresa tra i 500-1000 m s.l.m.

Nel suo rapporto, disponibile sul sito dell’Istituto, l’Ispra descrive i metodi per difendere i nostri castagneti dall’attacco di questo parassita. In Italia non sono autorizzati prodotti fitosanitari chimici per il controllo del cinipide nei castagneti, mentre sono consentiti per il trattamento del Balanino (insetto che si nutre dei germogli e dei frutti in formazione) e di altri parassiti del castagno.

I trattamenti sperimentali con insetticidi chimici non hanno tuttavia dato risultati confortanti: da alcune ricerche scientifiche, risulta che l’impiego di insetticidi ha invece causato un incremento dei livelli di infestazione, probabilmente a causa di una semplificazione dell’ecosistema e della rete alimentare, con interferenze negative sugli insetti che parassitizzano il cinipide, limitandone così le popolazioni ed i conseguenti danni.

Maggiori frutti sembra invece dare la lotta biologica con antagonisti naturali, come già avviene ad esempio in Piemonte e in Toscana. In diverse aree e in determinate condizioni ecologiche, infatti, è già presente sul territorio un gran numero di antagonisti naturali che utilizzano l’alloctono Dryocosmus kuriphylus come nuova fonte alimentare, sviluppandosi a loro spese. Da qui si è affermata la tecnica di controllare il fitofago attraverso la moltiplicazione e la successiva diffusione in campo dei parassitoidi specifici del cinipide, tra cui diverse specie del genere Torymus. In particolare, il parassitoide Torymus sinensis ha ‘adattato’ il proprio ciclo biologico a quello del cinipide, raggiungendo elevati livelli di parassitizzazione e riducendo così la presenza delle tipiche escrescenze tondeggianti (galle), al di sotto di soglie significative di danno.

La lotta biologica con Torymus sinensis ha trovato già una vasta diffusione in molte regioni italiane, con significativi successi; tuttavia, la lotta al cinipide del castagno tramite i parassitoidi naturali necessita – come tutti i metodi di lotta biologica – di una serie di presupposti climatico-ambientali favorevoli, per esplicare al meglio il suo potenziale predatorio nei confronti del parassita.

Date le complesse relazioni ecologiche presenti nei castagneti sia gestiti sia naturali, è evidente che il controllo di un patogeno emergente quale il Dryocosmus kuriphilus richiede una soluzione durevole nel tempo e a basso impatto ambientale, anche facendo ricorso ad antagonisti naturali tra cui il parassitoide specifico Torymus sinensis. Quindi la classica lotta biologica al cinipide con il lancio e la diffusione del parassitoide specifico, sulla base delle conoscenze attuali, risulta essere la soluzione più ecosostenibile. In questo contesto di lotta biologica ed eco-compatibile è fondamentale limitare al massimo l’utilizzo di pesticidi, al fine di non ripetere gli errori degli anni trascorsi e di preservare le popolazioni di parassitodi in grado di contrastare la diffusione del temuto cinipide del castagno, garantendo così nel futuro, sostenibilità ambientale e produttività. Occorre inoltre garantire l’abbondanza e la diversità degli insetti impollinatori che aiutano a mantenere una disponibilità di polline per periodi più estesi; esiste poi la necessità di restituire sostanze nutritive al castagno in modo equilibrato e sostenibile, e quindi di lavorare sulla fertilizzazione dei suoli possibilmente organica.

Riferimenti: Ispra

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