Enrico Fermi, vita breve di un grande italiano

bomba atomica
Oppenheimer e il generale Groves visitano il ground zero del Trinity test dopo il bombardamento di Hiroschima e Nagasaki.

A metà di settembre del 1934 il “Cardinale Vicario” andò dal “Papa” e gli disse che i due “Abati” stavano facendo il loro lavoro senza capirci granché. Il “Cardinale” sembrava seccato, ma il “Papa” gli disse di avere pazienza. Le cose andarono in lungo, finché il “Cardinale Vicario” non perse le staffe e redarguì violentemente i due dando loro degli incapaci. Poi, il 18 ottobre le attività ripresero e il Cardinale nuovamente seguì il lavoro e riferì al “Papa” (eravamo ormai al 22). Il “Papa” si decise a dare un’occhiata. Aspettò che gli “Abati” si allontanassero per confessare un po’ di seminaristi e poi andò personalmente a vedere come stavano le cose. Era lì di passaggio il “Cardinale di Propaganda fide” e il “Papa” gli chiese di fargli compagnia. Infatti, la calligrafia sul taccuino degli appunti che oggi ancora conserviamo è proprio quella del “Cardinale di Propaganda Fide”, chiaramente riconoscibile. Esaminando i dati ottenuti grazie all’intervento incessante della “Divina Provvidenza”, il “Papa” ebbe improvvisamente la rivelazione…

Il Papa di via Panisperna

Il luogo in cui avvengono questi fatti non è la Città del Vaticano, e non si tratta di beghe curiali. Così si potrebbe raccontare senza inventare niente la storia minuta della scoperta dell’effetto dei neutroni lenti usati dal gruppo di via Panisperna, a Roma, per attivare artificialmente gli elementi della tabella periodica di Mendeleev. Nel loro gergo, infatti, svelando i nomi dietro i nomignoli, il “Papa” era Enrico Fermi, il “Cardinale Vicario” era Franco Rasetti, gli “Abati” erano Edoardo Amaldi e il giovanissimo Bruno Pontecorvo, il “Cardinale di Propaganda Fide” era Enrico Persico (effettivamente di passaggio a Roma, da Firenze dove insegnava a quel tempo); la “Divina Provvidenza” era Giulio Cesare Trabacchi, il direttore dell’Istituto superiore di Sanità Pubblica, che disponeva delle sorgenti radioattive per produrre i neutroni e che gentilmente le prestava ai colleghi dell’Istituto di Fisica di via Panisperna.

L’Istituto era stato costruito entro il 1880 da Pietro Blaserna, morto nel 1918: Blaserna è un po’ il padre di tutto ciò che di straordinario è poi accaduto in Italia nel campo della fisica, con conseguenze di rilevanza mondiale. Al goriziano Blaserna era succeduto un suo allievo siciliano, Orso Mario Corbino (che sarà soprannominato “il Padreterno”), un vero talent scout, diremmo oggi, se fu così in gamba da adocchiare e accogliere Rasetti e Fermi e poi Amaldi, Emilio Segré (che al momento della nostra storiella non era presente, altrimenti lo avremmo citato con il soprannome di “Basilisco” dovuto al suo carattere un po’ acido) ; per non dire di Ettore Majorana (lo “Spirito Santo”), che però era un puro e straordinario fisico teorico, di cui Fermi diceva che era l’unico più bravo di lui.

Fermi e l’intuizione dei neutroni lenti

Che cosa era accaduto il 22 ottobre 1934? Fermi aveva intuito (si vantava spesso del suo “Intuito Formidabile”) che i neutroni prodotti dalla sorgente costruita con il prestito di Trabacchi erano tanto più efficaci quanto più erano lenti.

Raccontò, più tardi, all’astrofisico Subramanyan Chandrasekhar, che l’idea gli venne per caso, non avrebbe saputo dire come: per essere precisi, l’idea fu di utilizzare della paraffina al posto del piombo come materiale di schermo delle radiazioni della sorgente. Un certo numero di neutroni, filtrati dalla paraffina, venivano rallentati con un meccanismo di urti elastici che si può facilmente comprendere. Se una palla da tennis urta un oggetto molto pesante (un’automobile ferma, per esempio), rimbalza su di essa senza modificare apprezzabilmente la sua velocità: non perde, cioè, energia. Ma se la stessa palla urta un’altra palla ferma, la sua energia si trasferisce alla palla ferma in notevole misura. Poiché i neutroni hanno la stessa massa degli atomi di idrogeno della paraffina (e invece hanno una massa che è circa un trecentesimo di quella degli atomi di piombo), la paraffina li rallenta e il piombo no.

E perché i neutroni lenti sono più efficaci nel determinare la radioattivatà artificiale delle sostanze che bombardano? Il motivo è semplice: la radioattività è prodotta dal fatto che i neutroni catturati da un nucleo atomico lo rendono instabile, sicché quello disintegra dopo la cattura. Ora, più un neutrone è lento, più indugia nelle vicinanze di un nucleo, così che più è probabile che venga catturato. In definitiva, l’interpretazione è semplice e non richiede conoscenze complicate; il problema è che la capacità di utilizzare rappresentazioni mentali così potenti di una realtà lontana come quella degli atomi e dei nuclei è una dote molto rara, è la dote che hanno i grandi “fenomenologi”. In un certo senso, un grande fenomenologo è un personaggio che riesce a farci esclamare “perché non ci avevo pensato prima?”.

La fisica diventa un sapere iniziatico

All’inizio degli anni Trenta, il gruppo di via Panisperna faceva dell’onesta fisica atomica, come molti dei fisici di quell’epoca. La meccanica quantistica di Werner Heisenberg e di Erwin Schrödinger era appena nata (1925) e faceva passi concettuali enormi, disorientando mezzo mondo con le sue stranezze contrarie al “realismo classico”. Il linguaggio della fisica stava profondamente cambiando e diventando incomprensibile a chi non fosse una stretto specialista. Enrico Persico era soprannominato “Cardinale di Propaganda Fide” proprio perché predicava la nuova meccanica agli “infedeli”, cioè ai fisici italiani di formazione tradizionale: il suo trattato è ancora in uso e resta una delle opere più importanti del Novecento, tradotta in inglese e usata in tutto il mondo.

Ma Fermi e Rasetti capirono ben presto che la frontiera della ricerca non era lì, ma ad una scala 100.000 volte più piccola di quella atomica: il nucleo. A quel tempo, il nucleo era l’osso del mastino Ernst Rutherford e pochi altri, tra cui il suo allievo James Chadwick che nel 1932 scoprì il neutrone, modificando così tutte le precedenti idee sulla struttura del nucleo; ma anche Frederic Joliot e Irene Curie in Francia, a Parigi, avevano ereditato gli interessi della grande Marie Sklodowska, moglie di Pierre Curie con cui aveva scoperto il radio.

Le scoperte sui processi nucleari

I due coniugi Joliot-Curie fecero una scoperta importantissima, nel 1932: determinarono la radioattività dell’alluminio bombardandolo con particelle alfa di decadimento di una sostanza radioattiva naturale. Scoperta di enorme importanza, se si pensa al fatto che sino ad allora non era stato nemmeno concepibile un modo per modificare la struttura di un nucleo, nonostante i sogni frustrati di centinaia di alchimisti.

Il bombardamento con particelle alfa (nuclei dell’atomo di Elio, privato degli elettroni, cioè completamente ionizzato) aveva però un limite: la carica elettrica delle alfa (due unità elementari) è positiva come quella dei nuclei (che può arrivare sino alle 92 unità elementari dell’Uranio), sicché tra la alfa e il nucleo esiste una forza repulsiva che impedisce il contatto tra proiettile e bersaglio: attivare nuclei pesanti è perciò molto difficile, perché la repulsione cresce con il “numero atomico”.

Fermi e Rasetti seguivano questi risultati e mandavano gli “Abati” a studiare in giro per il mondo (nota bene: Fermi aveva circa trent’anni, come Rasetti, tuttora vivente e ormai prossimo ai 100 anni; gli “Abati” erano ventenni o poco più, Pontecorvo addirittura meno, sicché era soprannominato il “Cucciolo”). Si dissero: ma il neutrone è una particella nucleare! Cioè, interagisce con i nuclei! E non ha carica elettrica! Ebbene, forse l’idea è molto semplicemente comprensibile, ora, anche per chi non è un grande fenomenologo (che, come abbiamo detto, è un uomo con il “senno di prima”).

Gli esperimenti con neutroni

Non raccontiamo come il gruppo si organizzò per fare esperimenti con neutroni. All’inizio non succedeva nulla di clamoroso, ma un sacco di cose strane: cambiando la posizione rispetto ai mobili del laboratorio della sorgente e del campione da irraggiare i risultati erano diversi! Che pasticcioni, quegli “Abati”, aveva pensato Rasetti…

Invece, era l’idrogeno del legno che rimandava indietro un po’ di neutroni lenti. Quando Fermi capì, la notizia si diffuse nel mondo, Rutherford dette la sua benedizione, il paziente lavoro di irraggiamento di tutti gli elementi incominciò, su su fino ai più pesanti, fino all’Uranio.

Nacque persino la “Medicina Nucleare” perché le sostanze radioattive prodotte (isotopi, chimicamente identici a sostanze ben note ma di diversa massa, a causa del diverso numero di neutroni) erano anche quelle di importanza biologica; si sviluppò perciò una tecnica con la quale si poteva seguire il percorso di sostanze organiche (dette traccianti) negli organismi rivelandone la debole radioattività, il che consentiva una sensibilità fino a un milione di volte più grande di quella dei metodi chimici.

Fermi e i suoi si attendevano mirabilie dai nuclei pesanti: i “transuranici”! Elementi non esistenti in natura perché instabili, situati al di là dell’Uranio nella tabella periodica di Mendeleev. Invece i risultati del bombardamento dell’Uranio sembravano incomprensibili. Nel frattempo, Fermi aveva ricevuto il premio Nobel, in riconoscimento del suo Intuito Formidabile. Ma la situazione politica mondiale si era aggravata.

I nazisti avevano da tempo iniziato le persecuzioni razziali, particolarmente quelle contro gli ebrei. Mussolini aveva imitato Hitler. Con analoghi provvedimenti. La moglie di Fermi, Laura Capon, era ebrea; così pure, ebrei erano Segré e Pontecorvo e tanti altri. Tirava una brutta aria: Fermi approfittò della premiazione per passare negli Stati Uniti. La fissione dell’Uranio fu scoperta in Germania da Hahn e Strassmann e capita da Lise Meitner e Otto Frischr. Il resto è storia mondiale.

Fermi, un fisico eccezionale

E’ la personalità scientifica di Enrico Fermi che merita di essere raccontata per quanto di esemplare vi è in essa. Studente modello, amava studiare perché credeva nel valore delle conoscenze. Ai tempi della sua adolescenza, il trattato di fisica che andava per la maggiore era quello del russo O.D. Chwolson, in nove volumi. Fermi lo studiò come fosse un libro sacro e da lì, forse, ricavò l’amore per gli esperimenti, che Chwolson descriveva con accuratezza senza pari. Ma un grande insegnamento gli veniva dalla formidabile scuola italiana di Fisica Matematica, dalla quale apprese le meraviglie della meccanica analitica.

Fu così che Fermi si formò come una originale variante dei fisici classici: sarebbe diventato un eccellente e raro esempio di fisico “teorico”, né fisico matematico né fisico sperimentale ma una sottile mescolanza dei due. Nonostante i suoi contemporanei di entrambi i tipi fossero rigidamente contrari a queste commistioni, Fermi ben presto si affermò con il suo modello di scienziato, che dovremmo forse riconoscere come la forma più raffinata del “fenomenologo”, come abbiamo già detto. Nei campi che suscitavano il suo interesse sentiva quasi il dovere di dare il suo contributo, ed era in grado di darlo nella nascente formulazione della relatività generale come nella più tradizionale meccanica analitica, e poi nella meccanica statistica come nell’elettrodinamica quantistica, nella teoria delle interazioni deboli come nella fisica del nucleo.

La scuola di Fermi

Il suo modo di costruire un modello atomico, per esempio, (atomo di Thomas-Fermi) è non soltanto una grande idea ma anche una concezione in cui si vedono confluire i concetti più importanti della fisica classica e quelli più caratteristici della nuova meccanica come il principio di esclusione. Le lezioni universitarie di Enrico Fermi conservano tuttora uno stile affascinante: uno dei suoi libri più famosi, Molecole e cristalli, uscì nel 1934 come volume del “Trattato Generale di Fisica” a cura del Consiglio Nazionale delle Ricerche per i tipi dell’editore Zanichelli che, in quegli anni, proponeva meritoriamente una vasta serie di opere scientifiche di importanza internazionale. Fermi pubblicò poi molte altre serie di lezioni, talvolta raccolte da suoi studenti, da quelle di Termodinamica a quelle di Fisica Nucleare; per non dire delle lezioni tenute a Roma e a Varenna negli anni immediatamente precedenti la sua scomparsa (1954). Alle sue idee scientifiche e ai loro sviluppi è dedicato un volume di saggi di diversi autori che sarà presentato nel prossimo settembre 2001 in occasione delle celebrazioni del primo centenario della nascita (29 settembre 1901).

Fermi e la bomba atomica

Un’ultima considerazione: il ruolo di Fermi nello sviluppo dell’energia nucleare sia civile che militare. A Fermi si deve indubbiamente la realizzazione, nel 1942, del primo reattore nucleare che impiega la fissione dell’Uranio 235. Il prototipo fu realizzato sotto lo stadio di Chicago e fu un capolavoro di sapienza scientifica e tecnica. Successivamente, Fermi si spostò a Los Alamos, dove un grande numero di scienziati lavorava alla bomba atomica.

Il suo apporto competente fu indubbiamente decisivo, ma bisogna essere molto cauti nell’esprimere, oggi, giudizi superficiali sull’attività degli scienziati del gruppo di cui Fermi faceva parte: a qualcuno non è facile ritornare con la mente agli anni terribili in cui nazismo e fascismo, con gli alleati giapponesi, minacciavano il mondo intero, eventualmente realizzando per primi ordigni nucleari che avrebbero rovesciato le sorti della guerra. Ma è giusto ricordare che, a guerra finita, quando Edward Teller e Ernest O. Lawrence sostenevano l’opportunità di realizzare ordigni ancora più potenti come le bombe H, Fermi, con Isidor Rabi, si oppose dichiarando che “in base a princìpi etici fondamentali noi giudichiamo che sia un grave errore intraprendere lo sviluppo di quest’arma”. Egli disse questo come membro del GAC, il General Advisory Committee che fungeva da consulente del Governo americano.

Ora ci resta un solo dovere: recuperare alla cultura italiana un personaggio che merita considerazione e rispetto per le sue straordinarie qualità intellettuali, che il nostro paese conosce approssimativamente e assai male.

BIBLIOGRAFIA

Emilio Segrè (1971), Enrico Fermi, fisico, Zanichelli, Bologna (II ed. 1987)
Bruno Pontecorvo (1993), Enrico Fermi, Studi Tesi
Michelangelo De Maria (1999), “Fermi”, Le Scienze, Quaderno biografico, n°8
Carlo Bernardini (1999), La fisica nella cultura italiana del ‘900, Laterza, Bari

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