Viaggio tra i prigionieri del cibo

Prigionieri del cibo. Riconoscere e curare il disturbo da alimentazione incontrollata.

A cura di Laura Dalla Ragione e Simone Pampanelli

Il Pensiero Scientifico Editore, 2016.

pp. 190, Euro 28.00

Tutti noi, almeno una volta nella vita e forse anche più spesso, abbiamo cercato di superare momenti difficili o piccole angosce rivolgendoci al frigorifero. Digiunare in seguito a dispiaceri amorosi o, viceversa, riempirsi di cibo, è una esperienza abbastanza comune, poco grave fino a quando non comporta un vero e proprio disturbo del comportamento alimentare, con caratteristiche niente affatto episodiche.

Il ricorso al cibo consolatorio, infatti, può diventare una grave malattia: sono i cosiddetti DAI (Disturbi di Alimentazione Incontrollata), patologia che investe aspetti fisici e psicologici. Le cause di questo disturbo, che riguardano anche l’immagine di sé che ciascuno si porta dentro, sono ancora poco conosciute e le possibili terapie, sono di conseguenza ancora oggetto di studi e ricerche.

Il volume “Prigionieri del cibo”, curato dalla psichiatra e psicoterapeuta Laura Della Ragione e Simone Pampanelli, specialista in endocrinologia e malattie del ricambio, raccoglie saggi di autori che, con diverse competenze, descrivono la complessità della relazione alimentare patologica e illustrano l’esperienza terapeutica sperimentata a Città della Pieve, in Umbria. Qui, una équipe multidisciplinare prende in considerazione i problemi fisiologici e psicologici dei/delle pazienti e propone percorsi terapeutici modulati sulle loro differenti necessità, coinvolgendo nella riabilitazione alimentare sia gruppi di lavoro sia le famiglie.

cibo

Per il paziente DAI, infatti, il cibo rappresenta una sorta di amico che consola nei momenti difficili, ma le “abbuffate” consolatorie spesso lasciano dietro di sé sensi di colpa e di vergogna, oltre a parecchi chili di troppo. I pazienti, spesso obesi, riferiscono di non riuscire a controllarsi nelle loro abbuffate e, come se cadessero in trance, si dichiarano incapaci di fermarsi o limitarsi. Al contrario, durante i pasti regolari tendono a limitare l’assunzione di cibo, o iniziano diete su diete, con la speranza di compensare così la “colpa” commessa e di riacquistare un peso e una forma fisica accettabili. Ma i bisogni emozionali hanno spesso il sopravvento, le diete vengono abbandonate e lo stretto legame tra cervello e intestino porta a trovare nell’alimentazione (piacevole, confortante e… eccessiva) una ricompensa per le situazioni stressanti o traumatiche. Ci sono persone che si abbuffano di notte, altre che spilluzzicano cibo continuamente, chi preferisce le sostanze dolci, chi quelle grasse e salate… È interessante constatare come le molteplici forme dei disturbi personali trovino sollievo e compensazione in comportamenti alimentari sostanzialmente dannosi, con conseguenze gravi non solo sulla forma fisica ma soprattutto sulla fisiologia complessiva.

Gli studi endocrinologici, riportati e commentati da alcuni autori, illustrano il ruolo dei diversi sistemi ormonali che controllano nell’organismo la ricerca di benessere e di ricompensa: sostanze prodotte dal cervello come gli oppioidi endogeni possono condizionare i comportamenti delle persone attivando conflitti tra il piacere procurato dal cibo, la paura delle conseguenze e la necessità di controlli e restrizioni che non sempre si ha la forza di affrontare.

Le attività diagnostiche e terapeutiche proposte nel Centro Disturbo da Alimentazione Incontrollata e Obesità di Città della Pieve, USL 1 dell’Umbria coinvolgono una équipe multidisciplinare che vuole intervenire in particolare sul rapporto corpo-mente dei malati che richiedono trattamenti differenziati. Non si tratta ovviamente di far dimagrire gli obesi, ma di stabilizzare dei comportamenti alimentari sani, intervenendo in maniera duratura anche sulle cause profonde dei disturbi. A volte sono necessari trattamenti farmacologici, ma si privilegiano terapie di riabilitazione nutrizionale, motoria, dialettico-comportamentale che possono aiutare i pazienti a prendere coscienza di se stessi, delle loro esigenze, della loro malattia. Si propongono attività di arte terapia che favoriscono l’espressione corporea, gruppi di scrittura in cui i pazienti imparano a dare forma di parole al loro disagio esistenziale, si lavora sull’immagine corporea attraverso la terapia dello specchio, in cui il paziente impara, talvolta con sofferenza, a guardarsi e a vedersi nelle sue difficoltà. Ci sono momenti di incontro con le famiglie, che devono diventare una risorsa a cui i pazienti possono ricorrere per superare consapevolmente le loro difficoltà.

Gli autori di questi saggi sottolineano, ciascuno dal proprio punto di vista, l’aspetto del problema complessivo che sono chiamati a interpretare e risolvere, componendo nel lavoro di équipe le esperienze sugli aspetti nutrizionali e internistici con quelle di tipo psicologico e sociale, per ridare ai malati consapevolezza dei loro problemi ed aiutarli a riacquistare una propria dignità.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here