Covid-19, l’estate rallenterà la diffusione delle infezioni?

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(Credits: Edoardo Busti on Unsplash)

Il caldo ci salverà? Probabilmente l’estate non basterà a spazzare via il coronavirus, ma c’è ragione di credere che insieme alle misure di isolamento sociale e lockdown il caldo aiuterà almeno a frenare i contagi. Studi recenti sostengono che il freddo secco sia il clima “preferito” di Sars-Cov-2, una caratteristica che lo rende simile ai virus respiratori stagionali come quello dell’influenza o del raffreddore. Con l’aumento delle temperature la diffusione del Covid-19 potrebbe quindi rallentare ma non illudiamoci. La pandemia, infatti, si è diffusa anche nelle regioni tropicali, dando credito alla tesi, meno rassicurante ma ugualmente valida, che il coronavirus non sarebbe così sensibile alle temperature, almeno non in questa fase. Ma la cautela è d’obbligo anche perché è difficile paragonare la situazione di un paese a quella degli altri. Oltre al clima, e alle diverse misure adottate contro il coronavirus, ci sono tanti altri fattori che possono fare la differenza: età media della popolazione, inquinamento, sistema socio-sanitario. Una vera risposta riguardo al clima allora non c’è. Ma esistono vari studi e i pareri più o meno concordi degli esperti che aiutano a fare il punto della situazione.

Il caldo è nemico dei virus?

L’ipotesi che Covid-19 sarebbe sparita con il caldo si è diffusa tra la gente senza che prima ci sia stata la conferma da parte della comunità scientifica. Eppure, al contrario delle altre bufale che circolano sul coronavirus, questa non è del tutto infondata. Alcuni virus respiratori, come quello dell’influenza, hanno in effetti un andamento stagionale: l’epidemia ha il picco nei mesi invernali e poi scema. Si comportano in modo simile anche i coronavirus responsabili del raffreddore, che appartengono alla stessa famiglia di Sars-Cov-2 e preferiscono un clima freddo e secco. Il virus della Sars, altro parente stretto del nuovo coronavirus, ha cominciato a diffondersi nel novembre del 2002, per poi scomparire nel luglio successivo. Ma non è chiaro se il merito sia stato del caldo o piuttosto delle misure di contenimento e isolamento dei contagiati. D’altra parte, l’epidemia di Mers del 2009, causata da un altro coronavirus, è iniziata a settembre e ha colpito i paesi medio-orientali, con clima più caldo del nostro.

Caldo, umidità e raggi Uv sono insomma nemici giurati di parecchi tra i più comuni virus respiratori, perché compromettono la loro integrità e stabilità. In presenza di un tasso di umidità elevato, ad esempio, le goccioline di saliva che espelliamo con la tosse o gli starnuti sono più pesanti e cadono a terra in un tempo minore. Anche il nostro muco funziona meglio ed è più appiccicoso, proteggendo le vie respiratorie dall’ingresso dei patogeni. Alcuni studi suggeriscono inoltre che la luce solare, e in particolare la sintesi della vitamina D, aiuterebbero il sistema immunitario a combattere le infezioni. Ma soprattutto, cambia il nostro comportamento: trascorriamo più tempo all’aria aperta e in ambienti ventilati, meno a contatto con le altre persone. Ecco perché in estate, in genere, nasi gocciolanti e tossi persistenti sono solo dei brutti ricordi.

Il coronavirus non ama l’estate

La teoria c’è. Ma non sappiamo se Sars-Cov-2 si comporterà come gli altri virus stagionali oppure no. Alcuni studi lasciano trasparire un cauto ottimismo. In Cina, i ricercatori hanno calcolato per 100 città con più di 40 casi che elevate temperatura e umidità riducono la trasmissione del virus. Uno studio dell’università del Maryland mostra che i paesi con il maggior numero di casi di coronavirus sono quelli a clima temperato con temperature comprese tra 5 e 11 gradi e una bassa umidità relativa. Parliamo, è bene precisarlo, di studi preliminari, pubblicati come molti in questo momento solo come preprint, e quindi non sottoposti al vaglio della comunità scientifica ancora.

Tra i più ottimisti sulla possibilità di una brusca frenata dei contagi da Covid-19 c’è Guido Silvestri, virologo alla Emory University di Atlanta, che ha dichiarato a “Che tempo che fa” che il virus “si prenderà una vacanza d’estate”. Non sarà un addio: rimarrà probabilmente nell’emisfero australe e da noi tornerà il prossimo autunno. A sostegno della sua ipotesi, Silvestri cita il numero di casi in Africa, America centrale, Medio Oriente e sud-est asiatico, più basso di quello registrato nei paesi a clima temperato dell’emisfero boreale. Negli stati più colpiti, Italia, Spagna e USA, esiste inoltre un gradiente di mortalità sull’asse Nord-Sud. Negli USA, l’80% dei morti è concentrato negli stati più a Nord, nonostante vi risieda solo il 40% della popolazione. Anche in Spagna e in Italia i decessi sono concentrati al nord.

Ma, ammette Silvestri, si tratta di indizi, non di prove. E comunque, non tutti gli esperti sono così ottimisti. La virologa Ilaria Capua ha detto chiaramente che “ci sono zero possibilità che il virus scompaia in estate”. E due studi realizzati a Wuhan e in alcune provincie del nord Italia sembrano darle ragione: non esiste una correlazione statisticamente significativa tra la diffusione giornaliera del virus e i parametri meteo-climatici. Il climatologo Massimiliano Fazzini, che ha condotto lo studio, ha dichiarato che sulla base dei dati attuali “non esiste una correlazione statisticamente significativa tra la diffusione giornaliera del virus e i parametri meteo-climatici”.

Le pandemia sono un’eccezione

La maggior parte degli esperti concorda almeno su un punto: se anche l’aumento delle temperature avesse un effetto sulla diffusione del Covid-19, questo da solo sarebbe con ogni probabilità trascurabile. Le pandemie, infatti, storicamente non seguono un andamento di tipo stagionale. Il picco dell’influenza spagnola ad esempio fu in estate e quello dell’influenza H1N1 del 2009 ad aprile-maggio. In altre parole, anche se i ricercatori hanno osservato una certa sensibilità di Sars-Cov-2 al clima, questa potrebbe non incidere affatto, o comunque solo in minima parte, sulla sua trasmissione in una situazione pandemica come quella attuale.

Si tratta infatti di un patogeno nuovo: solo una piccola percentuale della popolazione mondiale, ad oggi, possiede gli anticorpi contro Sars-Cov-2. Questo dà al coronavirus un vantaggio enorme: senza ostacoli, la trasmissione può avere luogo più facilmente anche in condizioni ambientali non ideali. Una delle possibile evoluzioni di Covid-19 potrebbe essere quella a virus endemico, ossia costantemente presente in un dato territorio: allora, forse, assumerebbe caratteristiche di stagionalità. Ma potrebbero volerci anche anni.

Distanziamento sociale, unica strategia contro Covid-19

Senza contare troppo sulla bella stagione, dunque, per contenere la pandemia Covid-19 distanziamento sociale e lockdown rimangono misure efficaci, anche se è ormai chiaro che non basteranno da sole a sconfiggere il virus e dovranno essere rimodulate nella prossima gestione della pandemia. Il caldo forse aiuterà, ma solo in minima parte. D’altro canto, se ci sarà un brusco calo dei contagi nei prossimi mesi, come è stato per la Sars, non sapremo mai con certezza se sarà stato merito del caldo o piuttosto (più probabilmente) dell’efficacia delle misure restrittive e più in generale l’adesione alle norme di contenimento. E in ogni caso, gli scienziati prevedono una seconda ondata di contagi in autunno. Per allora, faremmo bene a essere preparati, magari anche con la speranza di un vaccino sempre più vicino.

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Credits immagine di copertina: Edoardo Busti on Unsplash

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