Le mascherine di stoffa proteggono anche l’ambiente

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“Usare la mascherina appropriata per l’uso appropriato” dovrebbe essere lo slogan di una campagna informativa alla popolazione, per evitare sprechi e ridurre l’impatto sull’ambiente della pandemia. L’idea è del presidente dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) Silvio Brusaferro, chiamato oggi dalla Commissione di inchiesta sulle ecomafie a riferire sulle problematiche nella gestione dei rifiuti prodotti dall’emergenza Covid-19. La pandemia ha infatti moltiplicato il consumo di materiali e dispositivi sanitari, e dunque i volumi di rifiuti (speciali e non) da smaltire, a cominciare dalle tanto discusse mascherine chirurgiche, il cui uso nella popolazione generale è stato prima scoraggiato, poi consigliato e infine reso obbligatorio nel lockdown.

Pandemia e rifiuti

Prodotte in materiali sintetici, generalmente monouso, le mascherine chirurgiche sono dispositivi di protezione personale (Dpi), vale a dire, hanno caratteristiche e prestazioni standardizzate e certificate, come necessario per un impiego in ambito sanitario, richiedono una particolare cura nell’utilizzo e anche nello smaltimento: dopo l’uso – dice l’Iss – le mascherine chirurgiche devono essere singolarmente sigillate in una busta di plastica e gettate nell’indifferenziata (presumibilmente destinata all’inceneritore). C’è di che preoccuparsi se si pensa che, secondo stime del Politecnico di Torino, dalla Fase 2, e chissà fino a quando, potremmo consumare fino a 1 miliardo di mascherine al mese. Le discariche rischiano di scoppiare, senza contare l’impatto degli inceneritori e il fatto che, come altri prodotti usa e getta, questi presidi medici e anche i guanti in lattice (che potrebbero avere impiego più appropriato in ambito medico-sanitario) dopo lo shopping vengono facilmente “dimenticati” e dispersi nell’ambiente.

Le mascherine chirurgiche non sono riutilizzabili

Per ridurre il carico, la quantità di materiale che genera rifiuto – ha spiegato il presidente Iss – a livello di ricerca e di produzione si stanno studiano nuove soluzioni per produrre mascherine chirurgiche con materiali riciclabili e che possano essere ricondizionate, per consentirne il riuso. Le attuali mascherine chirurgiche, infatti, una volta indossate, restano “efficaci due, massimo sei ore”, ha ricordato Brusaferro, precisando che ad oggi non ci sono strumenti e metodologie che ne garantiscano il riutilizzo con le stesse performance iniziali, normate a livello internazionale e garantite dalla produzione standardizzata. Chi riutilizza una mascherina chirurgica monouso dopo averla igienizzata in modo artigianale – lavandola o spruzzandola con alcol, per esempio – elimina probabilmente il coronavirus ma, al tempo stesso, potrebbe renderla meno efficace.

Mascherine di comunità per difendere anche l’ambiente

Altra storia sono le cosiddette mascherine di comunità, quelle realizzate artigianalmente o in modalità fai da te. Queste, ha detto Brusaferro, “non hanno particolari caratteristiche e standard di filtraggio, ma sono sostanzialmente strumenti barriera che possono essere usati in ambito comunitario”. In questo caso la riusabilità, come in parte anche anche l’efficacia, dipende dai materiali utilizzati, da quanto questi sopportano – senza deformarsi – un lavaggio acqua e sapone a 60°, come indicato anche recentemente dall’Iss, che per realizzare le mascherine fai da te consiglia tessuti di cotone.

Quanto vive il coronavirus su una mascherina?

Ma quanto può sopravvivere il virus del SarsCov2 su una mascherina? “In condizioni di laboratorio, nella parte interna della mascherina si rilevano parti di virus dopo 7 giorni dall’inoculo”, ha riferito alla Commissione, Rosa Draisci del Centro nazionale delle sostanze chimiche dell’Istituto superiore di sanita’ (ISS). Tuttavia, le ha fatto eco Brusaferro, “si tratta di test eseguiti in una situazione protetta, dove non agiscono alcuni fattori esterni, come la luce del Sole, che hanno influenza sulla sopravvivenza del virus”. Nel mondo reale il coronavirus vive meno, ha chiarito il presidente Iss, che ha messo anche in guardia contro le “disinfezioni eccessive” di strade e luoghi pubblici, che possono fare male alla salute e all’ambiente. Come l’uso dell’ipoclorito di sodio, che, ha spiegato Draisci, “a contatto con altri materiali organici  depositati sul terreno può formare sostanza pericolose”.

L’audizione è stata trasmessa in diretta tvweb e si può rivedere sul sito della Camera.

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