Coronavirus: perché alcuni manifestano i sintomi e altri no

asintomatici

Se ne parla spesso come fattore x dell’epidemia Covid-19: il ruolo degli asintomatici, persone che pur essendo infettate, non avendo i sintomi da Covid-19 potrebbero contribuire, a loro insaputa, ad alimentare l’epidemia. Un esercito di portatori silenziosi del nuovo coronavirus, secondo recenti stime, l’80% e più di tutti i casi positivi, identificati o meno, in circolazione. Tra questi, probabilmente, molti bambini e giovani, che appunto hanno sintomi molto lievi o non ne hanno affatto. Ma perché taluni, pur infettati, non si ammalano o mostrano pochi sintomi? E sono ugualmente contagiosi? La scienza non ha ancora una risposta definitiva, ma vediamo quali sono le possibili spiegazioni secondo alcuni ricercatori che firmano un articolo su The Conversation.

Quando l’infezione prende il via: l’incubazione

Ormai lo sappiamo tutti, finalmente, a differenza dei batteri patogeni, i virus, anche Sars-Cov-2, per moltiplicarsi e sopravvivere devono entrare nelle cellule del corpo. E i coronavirus ci riscono grazie alla proteina spike, una sorta di chiave di accesso, che si lega al recettore umano Ace2 (la serratura molecolare), particolarmente abbondante nei polmoni ma anche altrove: cuore, fegato, intestino e molti altri tessuti del corpo.

Una volta che si è stati infettati, tuttavia, possono passare fino a 14 giorni prima che compaiano i sintomi, un arco di tempo che definito come periodo di incubazione. Ed è proprio in questa fase che scendono in campo le difese immunitarie: una forte risposta immunitaria durante il periodo di incubazione può bloccare la diffusione dell’infezione, ridurre la quantità di coronavirus nel corpo e impedire così che raggiunga i polmoni.

Le risposte del sistema immunitario

Il nostro sistema immunitario, ricordano gli esperti su The Conversation, ha due linee di difesa contro i virus.

La prima consiste nel cosiddetto sistema immunitario innato, che comprende barriere fisiche come la pelle e le mucose (della gola e del naso), varie proteine e molecole presenti nei tessuti e alcuni globuli bianchi che attaccano gli invasori. Questa risposta immunitaria non è specifica, tuttavia, si attiva per prima, molto rapidamente (nel giro di poche ore dall’infezione). Secondo alcune ipotesi, i bambini, che hanno un sistema immunitario immaturo, sarebbero protetti dal coronavirus perché la loro risposta immunitaria innata è più forte che negli adulti.

La seconda linea di difesa è costituita dal sistema immunitario adattativo, più lento a intervenire ma molto più efficace perché più più specifico. Una risposta immunitaria adattiva precoce può fermare il virus durante il periodo di incubazione.

Dopo l’incubazione l’attacco ai polmoni

Se non viene fermato durante la fase di incubazione, il coronavirus comincia a farsi strada lungo il tratto respiratorio fino ad arrivare ai polmoni. Qui si lega ai recettori Ace2, particolarmente abbondanti nel tessuto polmonare, continuando a replicarsi e a innescare ulteriori risposte immunitarie. E mentre la lotta tra virus e sistema immunitario continua, i tessuti delle vie aeree infettate cominciano a produrre grandi quantità di liquidi che riempiono man mano gli alveoli, riducendo il regolare passaggio dell’ossigeno nel flusso sanguigno. Compaiono, così, i sintomi della polmonite, come febbre, tosse e respiro corto.

Una simulazione degli effetti di un colpo di tosse nella corsia di un supermercato. Le palline giallastre rappresentano goccioline inferiori ai 20 micrometri.

In alcune persone, la risposta immunitaria è talmente aggressiva e prolungata che può portare alla cosiddetta tempesta di citochine, che provoca gravi infiammazioni e danni agli organi (anche quelli sani) e può portare a una prognosi infausta. La causa più comune dei decessi per la Covid-19, infatti, è la sindrome da distress respiratorio acuto (Ards), causata appunto dall’accumulo di liquido nei polmoni.

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Anziani e bambini

Le persone anziane e quelle che soffrono di disturbi polmonari cronici, scrivono gli esperti su The Conversation, hanno maggiori probabilità di sviluppare l’Ards. Ciò, potrebbe essere dovuto al fatto che con l’età nei polmoni diminuiscono i recettori Ace2. Questi, infatti, seppure consentono al coronavirus l’ingresso nelle cellule, svolgono anche un ruolo importante nella regolazione della risposta immunitaria. In altre parole, i livelli ridotti di Ace2 tipici degli anziani potrebbero effettivamente aumentare il rischio di una tempesta di citochine. Al contrario, i bambini hanno più recettori Ace2 nei loro polmoni, e ciò potrebbe in parte spiegare perché la maggior parte di loro è asintomatica o presenta sintomi lievi.


Gli asintomatici sono contagiosi?

Ma torniamo agli asintomatici: possono trasmettere il nuovo coronavirus? Studi recenti sembrano indicare che le persone che si ammalano di Covid-19 possono avere un’alta carica virale poco prima e poco dopo la manifestazione di sintomi e che possono essere contagiosi anche 48 ore prima che questi appaiano, quando sono ancora asintomatici (o meglio pre-sintomatici).

Per quanto riguarda invece coloro che, pur infettati, non si ammalano ovvero non sviluppano i sintomi – gli asintomatici veri e propri – ad oggi non ci sono prove che siano contagiosi.

Il ruolo degli asintomatici nella diffusione dell’epidemia resta dunque da chiarire. Ragion per cui ad oggi, per tutte le autorità sanitarie, a cominciare dall’Oms, la principale via di trasmissione del virus è rappresentata dalle goccioline di saliva emesse attraverso tosse e starnuti. Vale a dire, il contagio avviene a partire da chi è ammalato, da chi ha i sintomi conclamati dell’infezione, eventualmente, già da 48 ore prima che li sviluppi e per poco dopo loro scomparsa.

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Credit immagine di copertina: Photo by CDC on Unsplash

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